sabato, luglio 27, 2013

Fa strano. Ripartire da radio Ballet degli Eluvium.
Fino a qualche minuto fa combattevo la mia solita battaglia. Quella nella mia testa. Quella di parole che si scontrano tra loro, come le stelle di due galassie che grattano contro e generano altre stelle.
L'ho imparato da te, come nascono le stelle, io non lo sapevo. Tu sì.

Sorrido. Le mie tempeste non sono in effetti delle burrascose onde emotive, in cui mi rovescio. No, le mie battaglie sono molto più logoranti. Sono delle infinite partite a tennis, in cui ogni tanto arrivano palline da tutte le parti. Ecco sì. Una partita in cui non ci sono regole, una partita che non puoi preparare in anticipo. E senza arbitri a cui appellarti.

Questa musica, quella degli Eluvium, è come un vento che porta via i residui delle parole, rimasti come gusci sul pavimento della mia testa. Il mio ordine mentale è un qualcosa di assolutamente indecifrabile, dal di dentro, almeno mi pare così.

Mi fermo e sento l'esigenza di scrivere. Mettere ordine, in un certo senso.

Sono arrivati i nuovi pannelli, i miei lavori, - ok, i miei nuovi quadri -, ieri sera. Ho avuto un brivido. Sono stato soddisfatto di me stesso. Mi sono piaciuti, insomma. Non tutti, ma alcuni sono esattamente come li avevo immaginati, mentre li realizzavo utilizzando le dita sullo schermo del mio iPhone, oppure più tradizionalmente, per me, impugnando il pennino della tavoletta grafica, del mio iMac.

Vederli, toccarli, riconoscersi. Una tregua.

Sono una persona che guarda sempre il futuro, ossessionato - anche se ancora non lo riconosco -, dal tempo. Parlo spesso del tempo. Non so aspettare, non so gestirlo come vorrei.
Sembro paziente, calmo, riflessivo anche quando dentro sono in guerra. Spesse volte con le attese.

La tregua per me è una pausa dal tempo, una dilatazione del presente, senza implicazioni. Una sospensione in cui assaporare un frutto dolce come il piacere.

Ecco, ieri sera scartare gli imballi dei miei quattordici pannelli, toccarli, annusarli, guardarli e tenerli in mano mi ha concesso un momento di tregua.
Soprattutto guardandoli ho avuto quella sensazione di sospensione.

Il problema della tregua è che il tempo poi sembra andare al doppio della velocità e le mie aspettative ad un ritmo clamorosamente ridotto, rispetto al tempo stesso.
Sognare ad occhi aperti, visualizzare il traguardo, fissarsi degli obiettivi è il primo modo per raggiungerli.
Il problema di sognare ad occhi aperti è quando quegli stessi sogni non concedono tregua.

Ho iniziato relativamente tardi ad esporre i miei pannelli pubblicamente. A trent'anni. Quest'anno insomma. Fino allo scorso anno quelle immagini erano solo un mucchietto di pixel colorati, visibili on line sul mio blog e salvati su qualche server di cui ignoro pure la locazione geografica.

Sapevo che qualcuno li avrebbe notati, ci speravo. È andata come volevo.
Mi hanno contattato, mi hanno selezionato, mi hanno chiesto di partecipare ad una collettiva.
Finalmente, ho pensato. Finalmente una tregua.

Ed ora, dopo due mostre in pochi mesi, di cui una pure fuori dall'Italia, eccomi di nuovo a pensare a come realizzare i miei sogni. I miei sogni che alimentano domande, che poi diventano dubbi. Ed una rincorsa contro il tempo perché vorrei essere ben oltre. Ci vuole una grande forza di volontà per non mollare tutto, questo mi è chiaro ormai.

Ci vuole calma, aspettare uno scambio molto lungo, colpo su colpo, tra parole nella testa che picchiano da tutte le parti, graffiando un po' come le stelle tra due galassie, generando altre parole.

Ci vuole un respiro molto lungo, ogni tanto, un respiro che sembri l'inizio di una rincorsa ed invece, soffiando via i gusci delle parole, verso fuori e non verso dentro, sia l'inizio di una tregua.