venerdì, febbraio 24, 2012

Arrivai in stazione a Roma che erano quasi le nove di sera, dopo un'intensa giornata di lavoro.
La Freccia Argento era in perfetto orario. Decisi di fermarmi a mangiare qualcosa in uno dei locali della stazione.
Optai per la steak-house.
Mi confusi con il resto dei viaggiatori, che presi dalla fame o dalla necessità di impiegare il tempo, popolavano il ristorante.
Mi accomodai in un tavolo vicino a una coppia di sessantenni.
Lei, capelli grigi, occhiali da miope e aspetto ordinario da madre di famiglia, lui quel che resta di un medio borghese, al tempo probabilmente piacente, anche se non particolarmente elegante.
Viaggiando da solo, in quel momento seguivo i miei pensieri, che si avvitavano uno con l'altro solidificandosi, sbattendo e fluidificando indipendenti.

Dopo aver ordinato la mia cena iniziai a seguire il filo dei discorsi della coppia.
Era evidente che non erano marito e moglie. Credetti sul subito che fossero colleghi, ma poi notai troppa intimità nei loro movimenti. I loro gesti comunicano più delle loro parole, almeno inizialmente.
Prima del mio arrivo, lui le teneva la mano.

Di solito non capisco mai quando due persone sono amanti, non decodifico i segnali.
Questa volta però era perfino troppo evidente.

Inizio un flusso di parole tra i due che mi lasciò perfino sorpreso.
Mi sorprendeva vedere l'innamoramento, la fiamma, la voglia bramosa in lui e la composta accettazione di lei.
Mi sorprendevo di sorprendermi.

Sulle note beffarde di nobody's wife di anouk, lei parlò dei suoi figli, di suo marito, della sua vita e delle sue paure.
Aveva paura del suo sentirsi innamorata, anche se fino in fondo non riuscivo a capire se davvero lo fosse, o se si trattasse di altro.
Lui invece era rapito e vidi nell'eccitazione dei suoi movimenti il classico atteggiamento maschile. A sedici, trenta, quaranta o sessant'anni l'uomo non riesce a nascondersi, concedendo un indubbio vantaggio alla donna.

I discorsi si fecero via via più complessi. La donna palesò chiaramente i suoi tormenti.
"Non credo che lui mi tradisca." Forse avrebbe preferito che anche il marito avesse una vita parallela, l'avrebbe fatta sentire meno colpevole. Il marito l'aveva messa ai margini della sua vita, non coinvolgendola nei problemi quotidiani, ma di fatto alienandola dai suoi pensieri. Non lo diceva con rabbia, odio, o altro sentimento negativo.
Lo diceva e basta.

L'uomo cercava di alleviare quel senso di colpa della donna, esposto in modo molto asciutto e intellettualmente onesto, aggiungendo parole con troppa enfasi.
Parlò della fine della sua storia, dei litigi con la moglie, di come decise di andar via di casa.
Però quell'enfasi, in aperto contrasto con la calma della donna, tradiva una delle più grandi paure umane: la paura della solitudine.

Nel frattempo avevo consumato la mia cena.
Chiesi il conto al cameriere e decisi di lasciarli soli. In fondo sapevo anche troppo della vita di due perfetti sconosciuti.

Prima di uscire, mi girai un'ultima volta.
Vidi che, forti della ritrovata intimità, lui le aveva ripreso la mano.

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